di Riccardo Falcinelli
Ripubblichiamo un articolo di Riccardo Falcinelli, uscito sul magazine del sito di minimum fax, in cui racconta la storia di un'edizione del 1964 della Cantatrice calva di Ionesco curata da uno dei più grandi grafici del '900: Robert Massin, direttore artistico di Gallimard.
Il testo teatrale patisce spesso, nei luoghi comuni, la triste sorte di
esser considerato inerte finché la magia del palcoscenico non gli dà
vita. Il testo è sentito come semplice canovaccio: uno spunto da
vivificare con l’evento performativo. Oppure è considerato
«letteratura», il che, forse, è anche peggio. Il grande colpevole è il
libro, la pagina scritta che tiene prigioniero il teatro «vero e vivo» e
gli nega il proscenio.
Ma questi sono luoghi comuni appunto. Il
testo teatrale è teatro anche lui, semplicemente in altro modo. Il
teatro è tanto cose. Robert Massin ce lo dimostra.
È il 1964. Uno dei
più grandi grafici del ‘900, Massin appunto, impagina per Gallimard (di
cui è art director) un’edizione rivoluzionaria e inclassificabile
della Cantatrice calva di Ionesco. Testo e immagine fusi insieme
che risentono dell’atmosfera sperimentale delle avanguardie storiche e
del futurismo. Caratteri più o meno grandi e di vario tipo che si
muovono sulla pagina e interagiscono con i personaggi. Un uso espressivo
della tipografia i cui precedenti illustri sono senza dubbio in
Mallarmé e Marinetti. Ma questa è solo l’apparenza, la superficie. A
guardare bene c’è di più. È un libro illustrato, ma non solo. È un
fumetto, forse. È un libro d’artista, quasi.
Il capolavoro non è nelle forme sensibili, ma nell’uso che Massin ne fa.
Intanto
quelli che compaiono sulle pagine non sono personaggi ma sono attori.
Gli stessi che stanno mettendo in scena a teatro il testo di Ionesco.
Quella di Massin è la messa in pagina di una messa in scena.
Gli
attori vengono fotografati su un fondo bianco e l’immagine viene
contrastata per ridurla ai neri e ai bianchi, senza mezzitoni. Gli
attori hanno così la stessa consistenza materiale dei caratteri
tipografici. Gli attori sono fatti di inchiostro. Questo bianco e nero
ricorda i pretini di Giacomelli (anche Giacomelli aveva precedenti in tipografia).
Ma
se gli attori vengono resi della densità dell’inchiostro, allora la
pagina del libro dovrà avere la spazialità del palco. Il libro aperto,
le due pagine a fronte saranno lo spazio scenico dove gli attori si
muoveranno mettendo in pagina (cioè in scena) lapièce di Ionesco.
La
disposizione dei pezzi, che nelle arti visive viene chiamata
«composizione», qui dovremmo chiamarla «prossemica» cioè quella
disciplina che studia il significato delle distanze poste tra sé e i
propri simili. Disciplina che il teatro conosce bene. La distanza in
scena tra due personaggi del teatro tragico è diversa da quella di due
personaggi moderni. Qualche metro di distanza tra i personaggi
shakesperiani (anche se sono madre e figlio), un metro scarso tra i
personaggi di Beckett (anche se sono degli estranei).
Gli attori di
Massin si muovono sul palco di carta ora vicini ora lontani, dicono le
loro battute, passeggiano sulla pagina. A ogni personaggio corrisponde
uno specifico carattere tipografico. Alle donne spettano i corsivi, più
morbidi e aggraziati, tranne per la cameriera: «mi sembrava un
personaggio mascolino», dice Massin.
La cosa fondamentale è il fondo
bianco su cui sono fotografati. Queste non sono foto di scena, sono foto
fatte apposta per il libro (da Henry Cohen). Il bianco del fondale
fotografico corrisponde al bianco della carta. I personaggi stanno sulla pagina.
All’epoca
ottenere tecnicamente un risultato del genere comportava un lavoro
lungo e laborioso. Non c’erano computer, vale la pena ricordarlo, e
scontornare una foto e posizionarla in pagina comportava un’esecuzione
manuale. In più Gallimard non credeva nel progetto e mise a disposizione
pochi spiccioli. Massin non poté neppure usare i trasferibili ma
dovette disegnare molti caratteri a mano. Oggi con Photoshop sembra
tutto facile e veloce. Veloce sicuramente, ma le cose fatte bene
richiedono la stessa laboriosità dell’epoca.
Dopo aver dato alla
pagina un valore spaziale, Massin si preoccupa anche di quello
temporale. Girar pagina diventa un fatto metrico, che dà un ritmo
specifico alle battute e alle pause. Il bianco è una pausa visiva, un
silenzio. Il girar pagina è una battuta ritmica.
La cantatrice calva cambia la grafica e le possibilità del libro. Forse è un graphic novel ante-litteram.Qualche anno dopo Massin impaginò La foule di
Edith Piaf deformando i caratteri per suggerire la grana della voce
della cantante. Non c’erano tecnologie digitali, l’ho detto, Massin dopo
vari tentativi stampò i caratteri sul lattice dei profilattici, li
deformò manualmente stiracchiandoli e poi li fotografò. Pare che ne
dovette provare moltissimi di varie marche e la migliore risultò una col
talco poco lubrificata. «Mi servono per impaginare una canzone della
Piaf», disse Massin. Non ho dubbi che il farmacista la trovò una pessima
scusa.