lunedì 10 febbraio 2014

Paola Tusa intervista Ilide Carmignani







Paola Tusa si è laureata all’Università degli Studi La Sapienza di Roma in Traduzione Letteraria e Tecnico-scientifica, e l’amore per lo studio delle lingue straniere l’ha portata nel Regno Unito e in Francia, dove ha avuto modo di approfondire le sue conoscenze. Dopo una breve carriera da freelance ha incontrato un gruppo di giovani traduttori con cui è nata una solida amicizia e un progetto coraggioso, Melt Traduzioni, un’agenzia che in poco tempo si è specializzata nei campi della traduzione audiovisiva, multimediale e editoriale, lavorando a progetti molto impegnativi. All’interno di Melt Paola si occupa, oltre che di traduzione audiovisiva e editoriale, anche della gestione dei social media e del blog. Nel 2012 ha frequentato il corso Il lavoro editoriale di minimum fax.

Intervista a Ilide Carmignani*

Ilide Carmignani è nata e vive in Toscana. Da più di venticinque anni svolge attività di consulenza, editing e traduzione dallo spagnolo per le maggiori case editrici italiane. Fra gli autori tradotti: M. T. Andruetto, R. Bolaño J. L. Borges, L. Cernuda, R. Fogwill, C. Fuentes, A. Grandes, G. García Márquez, P. Neruda, J. C. Onetti, O. Paz, L. Sepúlveda. Ha tenuto corsi e seminari di traduzione letteraria presso università italiane e straniere. Nel 2000, ha vinto il I Premio di Traduzione Letteraria dell’Instituto Cervantes. Dallo stesso anno cura gli eventi sulla traduzione editoriale per la Fiera del Libro di Torino (l’AutoreInvisibile). Dal 2003 organizza, insieme al prof. S. Arduini, le Giornate della Traduzione Letteraria presso l’Università di Urbino. Dal 2006 coordina gli incontri del Pisa Book Festival Translation Centre. Nel 2008 è stata eletta socio onorario dall’AITI – Associazione Italiana Traduttori e Interpreti. Ha pubblicato Gli autori invisibili. Incontri sulla traduzione letteraria, Besa 2008.

A settembre si è tenuta la decima edizione delle «Giornate della Traduzione Letteraria», unico appuntamento in Italia, oltre a «l’AutoreInvisibile» di Torino, per incontrarsi e confrontarsi tra colleghi su temi anche di grande attualità: com’è cambiato nel tempo questo appuntamento, e cosa le piacerebbe aggiungere o modificare?
Le prime edizioni delle Giornate sono state una specie di avventura: si trattava in qualche modo di tracciare una mappa del mestiere, di indagarne la geografia e la storia, soprattutto presente, e di individuarne i protagonisti, oscuri, abituati da sempre al silenzio, per poi convincerli a prendere la parola, a esplicitare e condividere le loro conoscenze. Non appena si è delineato un orizzonte –  il nostro orizzonte: non da traduttologi, non da linguisti, non da studiosi di letteratura, ma da traduttori letterari – tutti sono stati felici di venire, di incontrare finalmente, dopo tanta solitudine, i colleghi.
In questi dieci anni abbiamo cercato di operare pioneristicamente su molti fronti, gettando sempre lo sguardo oltre le nostre frontiere, grazie anche ad associazioni internazionali come Fitlit e Ceatl. Abbiamo lavorato sul piano professionale, analizzando e discutendo le pratiche editoriali, e sul piano della formazione permanente, offrendo seminari e conferenze di colleghi illustri, di scrittori come Luis Sepúlveda e Daniel Pennac, di studiosi come Umberto Eco, Eugene Nida, Susan Bassnett, Edwin Gentzler. Abbiamo coinvolto le istituzioni attraverso il MIBAC e la Casa delle Traduzioni delle Biblioteche di Roma, che oltre a patrocinarci hanno contribuito alla pubblicazione di tre volumi di atti. Abbiamo istituito due premi, il Premio Fedrigoni, che viene concesso a traduttori letterari per l’insieme della loro attività o a personaggi del mondo culturale che si sono contraddistinti per il loro impegno a favore della traduzione, e il Premio Harlequin Mondadori, che consente anche a esordienti di cimentarsi con la traduzione del romanzo rosa. Ci siamo, infine, impegnati per una maggiore visibilità culturale delle tematiche della traduzione, invitando giornalisti delle principali testate nazionali, oltre a Radio Rai 3, che è media partner della manifestazione.
Non so su quale strada ci avvieremo domani, la traduzione mi appare sempre più spesso un territorio sconfinato, proprio per la sua natura ibrida, che intreccia in un particolarissimo métissage aspetti professionali, editoriali, accademici, culturali, economici, etici… È molto difficile selezionare i temi degli incontri per l’imbarazzo della scelta. E temo che in futuro lo sarà ancora di più: oggi il traduttore lavora non di rado anche come revisore, se non addirittura come agente, ma le vaste possibilità offerte del digitale fanno pensare a funzioni ancor più trasversali. Dovremo abituarci all’idea di approfondire, per esempio, il discorso dei traduttori-editori, perché i Dragomanni sono ormai realtà.

Nel suo libro Gli Autori Invisibili. Incontri sulla traduzione letteraria (Besa, 2008) ha raccolto interviste a traduttori, scrittori e editori italiani per dar voce ai traduttori editoriali, il cui ruolo è tanto fondamentale quanto misconosciuto. Suppongo che anche le «Giornate della Traduzione Letteraria» nascano dalla stessa esigenza: come ha fatto a farle partire, all’inizio? E pensa che l’attenzione nei confronti del ruolo del traduttore sia cresciuta in questi anni?
Sì, quel libro è nato proprio dal bisogno di conoscere e ascoltare i più importanti traduttori letterari italiani. Confesso che ho sofferto a lungo la solitudine del traduttore, non la solitudine legata al tu per tu quotidiano con il testo – quella è una solitudine solo apparente perché condivisa con la voce dello scrittore, è un dialogo fitto, una compagnia affascinante, un piacere quotidiano – ma la solitudine legata all’assoluta mancanza di occasioni d’incontro, di scambio, di crescita, con gli altri traduttori, e di momenti di riflessione con le varie componenti del mondo dell’editoria e della cultura a partire dalla propria identità professionale. Credo che l’identità professionale di molti traduttori sia rimasta fragile anche per questo lungo isolamento, questo lungo silenzio, questa lunga invisibilità prima di tutto davanti a sé stessi, mentre la traduzione letteraria  richiede un insieme così vasto e vario di saperi e competenze, una sensibilità, un senso di responsabilità, direi persino un orgoglio, che solo una forte e coltivata consapevolezza del proprio compito può dare. È stato proprio il desiderio di lenire questa solitudine la molla primaria che mi ha portato a immaginare manifestazioni italiane simili a quelle che avevo conosciuto all’estero, come la Summer School del British Centre for Literary Translation o le Jornadas en torno a la traducción literaria della Casa del Traductor di Spagna. Così nel 2001, grazie a Ernesto Ferrero, direttore del Salone del Libro di Torino, sono nati gli incontri dell’AutoreInvisibile (la prossima edizione, la tredicesima, sarà il 16-20 maggio 2013); nel 2003, grazie alla collaborazione con Stefano Arduini, le Giornate della traduzione letteraria, e nel 2006, grazie a Lucia Della Porta, gli incontri sulla traduzione editoriale del Pisa Book Festival (la prossima edizione si terrà il 23-25 novembre 2012). È stato semplice mettere in piedi le manifestazioni, è bastato parlarsi, forse era già tutto nell’aria. A posteriori direi che era inevitabile che l’attenzione per la traduzione e i traduttori crescesse: viviamo in un mondo sempre più globalizzato e siamo quindi più predisposti a cogliere l’importanza, e anche il fascino, di un mestiere che si esercita in bilico su una frontiera.

Oltre che organizzatrice, lei è anche una delle più quotate traduttrici dallo spagnolo in Italia: ha tradotto autori come Bolaño, Borges, Fuentes, Márquez, Neruda e Sepúlveda. Che rapporto ha con gli autori viventi?
Un tempo ero molto in ansia a ogni incontro con uno scrittore e ancora oggi mi sento estremamente responsabile nei suoi confronti, consapevole che una cattiva traduzione può distruggere qualsiasi capolavoro, ma a dire il vero ho sempre trovato gratitudine e, più spesso di quanto non si creda, un certo bisogno di conferma. Sarà che il traduttore vede lo scrittore nudo… La lentezza implacabile del lavoro di mediazione strappa ogni velo. In generale posso dire che ho ottimi rapporti con gli scrittori: sono sempre pronti a rispondere ai miei dubbi di traduzione. Un dialogo consente di capire meglio il testo e quindi di dare una traduzione migliore (anche se non bisogna confondere l’autore con il testo) e poi, banalmente, la stima dello scrittore concede al traduttore un certo potere contrattuale nei confronti della casa editrice. Nei casi in cui la chimica funziona, c’è anche una speciale felicità nel lavoro quotidiano. Così come c’è un vuoto, una specie di nostalgia, quando si intuisce che la chimica avrebbe funzionato ma lo scrittore purtroppo non c’è più.

Prima di arrivare ai grandi nomi avrà dovuto fare un po’ di gavetta: ci racconta dei suoi primi passi nel mondo della traduzione?
Ho iniziato, molto audacemente, a ventitré anni traducendo dei poemi in prosa di Luis Cernuda per un professore universitario che voleva pubblicare un volumetto ma non intendeva perdere tempo con la traduzione. Ricordo che per allettarmi disse: «Ti affido anche le note che fanno titolo nei concorsi». Ancora oggi, benché l’università abbia aperto le porte a questo tipo di formazione, è cambiato poco o niente, tanto è vero che la traduzione letteraria la insegnano i linguisti. In seguito, frequentando un Ph.D. alla Brown University, negli Stati Uniti, ho seguito uno special course con un grande traduttore, oltre che studioso, Alan Trueblood, e al ritorno ho presentato alcune proposte di traduzione a case editrici di Milano. È andata bene e da allora non ho più smesso di tradurre. Ho avuto tanta fortuna e poi all’epoca gli editori erano quasi allibiti che volessi fare la traduttrice di mestiere. I colleghi più anziani erano tutti traduttori per caso.

Che rapporto ha con i suoi revisori? E quando è lei, se le capita, a dover fare una revisione?
Credo che il revisore sia una figura fondamentale per un traduttore. Ce ne sono molti bravissimi, come Francesca Erba di Adelphi, di cui mi fido più che di me stessa. A volte invece il ricorso a collaboratori esterni occasionali, pagati molto poco e pressati da mille consegne, può esporre il traduttore a sgradevoli sorprese… Bisogna sempre leggere le bozze, anche a costo di passarci la notte perché c’è fretta. Quanto al rivedere io, sinceramente preferisco tradurre. È un compito molto difficile: il revisore, come spiega Renata Colorni negli Autori invisibili, è tenuto a una doppia fedeltà, allo scrittore e al traduttore, e quindi anche a una doppia oblatività. Bisogna essere elastici, sottili, capaci di lavorare negli interstizi, e molto generosi.

Ci sono dei traduttori o delle traduzioni che ha amato particolarmente nel corso delle sue letture, e che vorrebbe consigliare a chi ci legge?
Mi piacciono molto, moltissimo, le traduzioni di Susanna Basso. Tutte.

Che consigli si sente di dare ai neolaureati che intendano intraprendere il suo stesso percorso?
Di pensarci bene perché è una strada tutta in salita, ma se proprio sono decisi a percorrerla, di leggere e scrivere più che possono e – come dice Alberto Rollo, direttore letterario di Feltrinelli, nel terzo volume di atti delle Giornate – di avere sempre una grandissima curiosità.

(Paola Tusa, novembre 2012, Meltinblog)

* Nel 2013 Ilide Carmignani ha vinto il Premio Nazionale per la Traduzione.