mercoledì 29 gennaio 2014

A volte succede: da un corso di editoria a Julio Cortázar


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In attesa della sesta edizione del Lavoro editoriale, pubblichiamo un pezzo della nostra ex corsista Giulia Zavagna* su quello che è successo prima, durante e dopo il corso. 

Capita sempre, a fasi cicliche, che qualcosa (qualcuno?) ci obblighi a fermarci, ci svegli nel cuore della notte e ci chieda con fare ossessivo cos’è che vogliamo fare davvero nella vita. Capita ogni volta, anche nei periodi migliori, anche quando chiunque ci guardasse da fuori penserebbe che tutto sommato non ci è andata affatto male. E ogni volta, puntualmente, è il panico. O forse no.

In fuga preventiva dall’horror vacui post-universitario, nel 2011 mi sono trasferita a Roma. Sì, non è Buenos Aires, ma sarà giusto per cinque o sei mesi, pensavo, in fondo il corso finirà a maggio. E poi: l’entusiasmo. Certo, la tesi da finire, mille scadenze, fare su e giù da casa ogni due settimane, i ritmi accelerati, la città che ancora ti sfugge, eppure. Eppure lo sapevo già, da qualche mese prima, quando in anticipo su ogni aspettativa Rachele mi aveva dato buca al nostro colloquio a Ponte Milvio, e nemmeno ci ero potuta entrare in quella casa editrice che tanto aspettavo di conoscere. Solo una rapida occhiata da fuori, accettando sconsolata di incontrarla per un caffè in centro. Io non lo volevo il caffè, volevo i libri, imparare i libri.

Ricordo i mesi di corso come un’esperienza inverosimile, allucinogena, a ripensarci ora. Ero esattamente nel posto in cui volevo essere, a fare esattamente quello che volevo e mi aspettavo di fare, nel momento giusto, con le persone giuste. Non riesco a isolare un’esperienza analoga, neanche una. O forse sì, ma non si può stare sempre in viaggio. Comunque sia, credo di averli imparati, i libri. Come sono fatti, quanto lavoro e quanto amore richiedono, com’è difficile dargli una forma, un colore, un aspetto che li rappresenti, e allo stesso tempo rappresenti chi li ha costruiti, e chi li vorrà esplorare. E ho imparato che, spesso, quando si parla di libri si beve un bicchiere di vino, che ogni fiera del libro è insieme una grande folla e una grande festa – quell’anno a Torino si presentava SUR e io, che non c’entravo nulla, ero felice come se fosse cosa mia –, che la pignoleria è una grande qualità, e che Rachele non è solita mancare gli appuntamenti. I sei mesi a Roma sono diventati nove: ci ho messo un po’, ma alla fine nella tanto sospirata casa editrice ci sono entrata, e mi ci sono fermata tre mesi, ad ascoltare.

Ormai è il 2014, la tesi è un ricordo lontano, il corso un momento felice, i libri ora li faccio davvero e Roma è ancora casa mia. Ah, anche SUR è diventata un po’ mia, perché quando dico «fare i libri» – oltre a citarne uno bellissimo – intendo dire farli davvero, dall’inizio alla fine: negli ultimi due anni ho avuto l’insana fortuna non solo di collaborare con SUR, correggendo bozze, facendo revisioni, traducendo; non solo di lavorare con la lingua amata, i paesi amati, gli autori amati; non solo di tradurre un libro meraviglioso di uno dei miei scrittori preferiti di sempre. C’è altro? Ebbene sì, quel libro l’ho fatto io, tutto intero. La base di partenza è al di là di ogni aspettativa: un mare di parole, di pagine scritte a macchina (quasi cinquemila, dicono), in cui mi sono immersa notte e giorno cercando attentamente, attentamente selezionando ogni dettaglio, maneggiando il tutto con cura, come è giusto fare con i materiali più preziosi. Con cura, esatto. Curare un libro: mai termine fu più appropriato. E no, nonostante questo niente rose né fiori, tutto infinitamente incerto, fuggevole, impossibile da pianificare. Da imparare, qualcosa ogni giorno, certezze nessuna, progetti a lungo termine ancor meno, l’horror vacui sempre appostato dietro lo stesso angolo. Fa parte del pacchetto, forse. Però ecco, se oggi mi chiedessero cos’è che voglio fare davvero nella vita, risponderei: questo, ancora e ancora.


*Giulia ha partecipato alla terza edizione del Lavoro editoriale e oggi collabora come freelance con diversi editori. Per le edizioni sur ha curato Carta carbone, il primo dei tre volumi dell'epistolario di Julio Cortázar.

lunedì 13 gennaio 2014

Un prequel: aspettative passate, presenti e future di un editoriale

Fotogramma da La storia infinita (Wolfgang Petersen, 1984).


In attesa della sesta edizione del Lavoro editoriale, pubblichiamo una riflessione del nostro ex corsista Angelantonio Citro* su aspettative passate, presenti e future di un editoriale.


Sto scrivendo questo pezzo perché me lo ha chiesto Rachele. Ciò non vuol dire che lo scrivo controvoglia, tutt’altro, solo fare la cronaca romanzata delle ultime righe del mio curriculum non lo trovo molto interessante. Dopo aver fatto il corso a minimum è quasi un anno che lavoro in un ufficio – dal quale sto scrivendo adesso – caldo d’inverno e fresco d’estate, piuttosto arioso, dove entra tanta luce.
Se devo parlare di lavoro, però, mi viene in mente un ragazzo che ho conosciuto qualche anno fa. Diciamo qui che si chiamava Salvo. È delle mie parti, campano. Siamo usciti tre o quattro volte. Io avevo ventun anni, lui venticinque. Mi veniva a prendere con un SUV della Mercedes nero nuovissimo. Ci facevamo un giro, prendevamo qualcosa da bere, mi portava a casa sua, facevamo sesso e poi chiacchieravamo. Io ero studente universitario di lettere. Già non ne potevo più dell’università, bramavo una mia indipendenza e stavo pensando a come fare per ottenerla. Questo era più o meno tutto quello che avevo da dire allora sulla mia vita e questo era quello che dissi a Salvo. Lui mi prese le mani, mi guardò i palmi e disse: viziato. Ci rimasi malissimo, ma non lo diedi a vedere. Gli chiesi di parlarmi di lui. Mi raccontò che lavorava da quando aveva 14 anni. Aiutava il padre in campagna. Si era diplomato non ricordo più in cosa e non aveva mai pensato di iscriversi all’università. Poi aveva cominciato a lavorare alla concessionaria della Mercedes. Nonostante fosse alto poco più di un metro e settanta aveva fatto il fotomodello. Era molto bello. Aveva un corpo perfetto che teneva allenato e pulito. Non fumava né si drogava. Non era ossessionato da diete o dall’eccesso di cibo. Mi mostrò diversi servizi fotografici che aveva fatto anche a Parigi. Poi aveva avuto un incidente con la moto. Si era spaccato la testa. Da poco aveva tolto i punti di sutura e gli avevano dovuto trapiantare i capelli per nascondere la cicatrice. Era vivo per miracolo, ma ora non sapeva se poteva più continuare a fare il modello. La cosa non lo rattristava molto, ora non pagavano i modelli più come un tempo perché dicevano che c’era la crisi. Da poco aveva ripreso a lavorare alla Mercedes. Spesso faceva degli orari assurdi anche perché la concessionaria era a tipo un’ora di macchina. Infatti era difficilissimo che trovasse una sera libera quando dovevamo vederci. Quella casa in cui eravamo – un appartamento su due piani con terrazzino – era sua, se l’era comprata e pagata senza fare mutui. Lui l’aveva imbiancata, lui aveva montato la cucina, comprato e portato i mobili; lui ci aveva messo il parquet. Tutto sommato però stava pensando di venderla e di prenderne un’altra da qualche altra parte, perché i vicini (parliamo dell’hinterland campano da cui io volevo fuggire) cominciavano a sparlare di lui perché era arrivato da poco così di punto in bianco, aveva il macchinone, era troppo giovane per vivere da solo e in quella casa ci entravano solo ragazzi.
A venticinque anni Salvo aveva tutto quello che io desideravo a ventuno e che continuo a desiderare. Aveva ottenuto l’indipendenza lavorando e mettendo da parte nella maniera più semplice e disarmante possibile. Lui è la persona riuscita più giovane che abbia mai incontrato. A volte mi chiedo se prima o poi riuscirò anch’io in qualcosa di simile. Mi vien da pensare che ci sono persone guidate dal dovere (come Salvo) e persone guidate dalla volontà (come me). Le prime sono quelle che riescono incondizionatamente, per le seconde è una parola. Quando mi vien da pensare questo, ecco, dormo poco.


* Angelantonio ha partecipato alla quarta edizione del Lavoro editoriale e oggi si occupa di editoria digitale «qualsiasi cosa questo voglia dire».