mercoledì 23 novembre 2011

Il mio binario è finito nell'erba alta


Una testimonianza del corso Serial Writers
di Carla Giuliano 
Mattia dice che le storie che ama sono quelle in cui un personaggio sembra destinato a una direzione e poi a un certo punto accade qualcosa che lo fa deviare, facendolo piombare da qualche altra parte, dove deve imparare a vivere, di nuovo.
La mia è una storia un po’ così: il mio binario all’improvviso è finito nell’erba alta e per attraversarla avrei voluto trasformarmi nel gatto con gli stivali… ma mi mancavano gli stivali! Anche i tacchi, se proprio vogliamo… ma questa è un’altra storia.
Io al destino cerco di non credere mai molto: mi farebbe un po’ rabbia pensare che qualsiasi cosa io faccia per dare un senso ai miei giorni quelli prendono e se ne vanno in tutt’altra direzione perché qualcosa dai mille nomi – tuhe, sorte, provvidenza, fato – ha deciso per me. Però alla fine ci sono coincidenze o momenti particolari in cui sembra che qualcosa di particolare sia successo.
A febbraio 2011 c’è stato uno di quei momenti, ma d’altronde Paolo Fox l’aveva detto. Oh, destino no, ma Paolo Fox tutta la vita. A febbraio ho fatto due selezioni: una avrebbe permesso di continuare a conciliare le mie due anime, l’altra andava sparata nella direzione che avevo sempre guardato e mai intrapreso. Una era la soluzione razionale, pensata, definita e blasonata, l’altra era Serial Writers. Che mi sembrava quasi troppo quello che volevo in quel momento, per essere vera. Quindi non ci credevo, e quindi ho iniziato a crederci la sera prima della scadenza, finendo per chiudere i materiali per la selezione un quarto d’ora prima. Tempistiche condivise con un’ottima compagnia, ho scoperto poi.
Insomma, a febbraio Paolo Fox diceva che sarebbe arrivata una risposta positiva, ma non sarebbe stata quella giusta. Quella che avrebbe davvero cambiato le cose sarebbe arrivata dopo, e il mese che avrebbe cambiato tutto sarebbe stato maggio. Detto, fatto. La strada razionale è andata bene ma s’è poi fermata per conto suo, come per lasciare spazio al sogno. In fondo, forse Mr. Destino avrà pensato, se questa qui deve vivere un anno di casino… che se lo viva fino in fondo. Vabbè, casino sempre per quella che è l’accezione del termine vista da un’ingegnera. Ovvero deviazione dal sentiero prescelto, partenza a razzo per una città sostanzialmente sconosciuta, tantissimi cari saluti alle perplessità e alla sorpresa di amici e parentado. Non tutti, qualcuno che sorrideva e diceva “Lo sapevo che prima o poi sarebbe successo” c’era. Esistono anche gli amici veri, e cari.
Serial Writers perché?
Perché quando mi sono affezionata a qualcuno non mi va di dirgli addio troppo presto. Da piccola avevo letto in un libro che la protagonista aveva colpito la professoressa di italiano scrivendo in un tema che quando si innamorava di un libro se ne centellinava le pagine per non salutare troppo presto i personaggi che aveva imparato ad amare. E mi ero arrabbiata tantissimo perché quella cosa l’avevo pensata molto prima di leggere quel libro e ora non ne avevo più l’esclusiva. Anni dopo ho capito che l’esclusiva sulle idee è una chimera, ed è giusto che sia così, anche se Smith forse non sarebbe d’accordissimo con me.
Si dice che leggere sia la prima versione dello scrivere, ed è vero. Lo è soprattutto per quanto riguarda l’affezione verso i personaggi e le storie, e l’atteggiamento che si ha verso quegli omini che escono dalle pagine in bianco e nero e diventano a colori nella nostra fantasia. Se ti affezioni a un personaggio che ha disegnato qualcun altro è difficile pensare che dopo la parola FINE lo dovrai lasciare alla sua vita e non potrai più impicciarti dei fatti suoi. Ma se quel personaggio l’hai creato tu, almeno per me, la cosa diventa impossibile.
I film sono arte. Soap, fiction, serie tv e similia sono industria artistica. Arriverei a definirla industria emotiva. Sono qualcosa che fa diventare l’ossimoro regola, e forse sono il mondo nel quale le mie due incasinatissime anime possono tornare ordinate, linde, e magari più in armonia, se l’una serve all’altra.
Soprattutto sono il mondo dove i personaggi esistono per più tempo, si evolvono, spiegano, portano con sé tutto un vissuto a cui non si dovrà rinunciare o che non si vedrà solo di sfuggita, come in un’occhiata fugace dal buco della serratura. Di Lady Oscar in due ore quanto avremmo potuto sapere? L’agente Bristow avrebbe potuto vivere due anni sotto copertura e poi saltarsene altri due da andare a recuperare poco alla volta mentre mammina le incasinava la vita? Anita Ferri e Marina Kroeger si sarebbero potute scontrare quante volte, una e mezza?
Serial Writers è stato il modo per avvicinarsi con un quaderno in mano e tanta voglia di teoria a quel mondo “lungo, industriale ma sempre emozionante ed emotivo” che sono le serie tv. Poi la teoria è arrivata attraverso la pratica: le chat su skype all’una di notte con la gatta della padrona di casa che mi guardava perplessa dal suo cantuccio sul tappeto, le pizze mangiate tra un progetto e l’altro, quando erano ancora agglomerati di mezza pagina pronti a svolgersi come nodi gordiani o a sparire come lo zucchero filato tra un autoscontro e l’altro, i pranzi a Casa loca impreziositi dalle partite di calcetto – con gli omini mooolto più propensi ad obbedirci dei nostri sfuggentissimi personaggi, sempre in fuga verso una impossibile definizione – e le revisioni, quelle cose terrificanti per cui un file amorevolmente curato, levigato e definito fino a tre secondi prima – perfetto, dunque, no? – veniva messo in discussione dalla prima all’ultima riga, rivoltato, capitombolato, rincalzato, tagliato, rimodellato… una volta dopo l’altra.
Il “finito” in questo mondo non esiste, e per questo oggi non possiamo dire che il nostro corso sia “finito”, perché tutti noi ci porteremo dietro qualcosa di quello che abbiamo imparato e soprattutto siamo stati in quei due mesi… foto, video, risme di carta stampata e una cartella con un centinaio di file compresi. Però diversi da prima lo siamo, e lo sappiamo: in fondo i primi progetti ad essere messi in discussione ad ogni revisione siamo noi stessi, fogli di una sceneggiatura di cui a poco a poco sfrattiamo gli altri autori, prendendoci la responsabilità di riempire da soli le pagine ancora bianche chiamate “Domani”. È il bello e il brutto del diventare grandi… e anche questa l’abbiamo già letta, o forse scritta, da qualche parte…
p.s. tra le cose imparate durante il corso, menzione speciale al

VOCABOLARIO
GRUPPESEAUTORIALE – ITALIANO
“Poi questa può anche non essere la soluzione definitiva però ve la dico lo stesso” :
loc. avv. traduc. con “Ho avuto l’illuminazione e se non la accettate vi stronco”.
“Banalmente”
avv. impropr. del tip. “Iniziare con un avverbio sta sempre bene”
“Io vi ascolto, parlate pure”
fras. idiom. “Stanotte non ho dormito e ritorno tra voi tra un paio d’ore”
“Non mi piace tantissimo, cioè non è che non mi piaccia però…”
fras. gentil. per : “Una ciofeca del genere non l’avevo mai letta”
“I personaggi devono condurre l’azione, non subirla”
lessic. altoloc. per “Questo personaggio manca di palle.”
“Su questo personaggio abbiamo alcune perplessità superabili”
lungologism. per “Questo personaggio è morto.”
“Il vostro progetto ci piace tantissimo ma un paio di cose vanno modificate”
eufemism. per “Mantenete giusto i nomi e cambiate tutto il resto.”
“Premesso che apprezziamo il vostro impegno e il coraggio che avete avuto”
drammatic. “Queste sono le ultime parole positive che leggerete in questa mail.”
“Potremmo quasi esserci”
sarebb. a dir. “Siete stati grandi”

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