Le parole e il Natale
di Noemi Neri
Tre giorni nella capitale. Vicoli
lucidi appena visitati da una fine pioggia, sorrisi.
Nello scantinato di una vecchia
libreria, lontano dalla calca delle auto in doppia fila, un gruppo di lettori
si scalda con i canti di Natale.
Nuovi volti si posano su questo
scenario romano, portano frasi da lontano. Svolto in Piazza del Popolo, le luci
dell'albero troneggiano maestose sfiorando le piccole cupole, qualcuno chiede
permesso. Non c'è fretta. La vividezza di una quiete interiore riverbera negli
occhi delle persone. Avanti. Un gruppo di ragazzi canta per Telethon offrendo
il cuore tenero della città, ci sono anch'io, dentro il folklore più umano,
dentro il soffio di vita arcano.
Momenti. Rigiro tra le dita gli
appunti di questa immersione nel mondo editoriale. Se chiudo gli occhi mi
sembra di vederli, un filo di lettere che tiro via dalla bocca di Christian man
mano che percorre i corridoi di minimum fax.
L'introduzione è un cappello
variopinto sulla figura dell'editor, personaggio eclettico dai molteplici
interessi. Una sorta di matriosca vivente con gli occhiali, perché uno che fa
questo mestiere lo si immagina con gli occhiali, anche Christian ce li ha.
Solito contesto, fattibilità
pratica dell'editare. Cavia: Francesco Longo. Giornalista e scrittore romano,
introspettivo, disponibile, maglioncino a rombi, senza occhiali*: li ha
nascosti sotto il banco. Protagonista: un racconto attempato a cui fare le
pulci. I corsisti scalpitano, io con loro. Gli occhi divorano le righe alla
ricerca famelica delle incoerenze, poi parte la battaglia. È la battaglia delle
molliche di pane tirate a tavola, piccole funi con cui agganciarsi e con
affetto, trovarsi a metà strada. Francesco è gentile, accetta i suggerimenti e
le domande un po' inquisitorie. Noi siamo i detective e nel suo testo si
nasconde il cattivo. Sei proprio sicuro che l'arancione sia il colore più
adatto? Potresti riconsiderare l'utilizzo di alcuni termini... quel putrefazione forse non è la migliore scelta lessicale... Sesto
rigo, l'indicativo è una scelta stilistica? Lo scrittore appunta su un taccuino
le osservazioni, procediamo per immagini, Christian guida il dibattito come un
abile stuntman.
Le parole rimbalzano nella stanza
creando nuovi collegamenti. “Che cosa vogliamo farne del titolo?” chiede
qualcuno. Si alza una mano. “Lo compro io.”
Il racconto si esaurisce,
l'inchiostro si spegne, i pensieri no. Nei ricordi, quella morte nel cuore che racchiude, per me, le pagine con cui Longo ha
accompagnato il nostro percorso.
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