mercoledì 23 novembre 2011

Sempre meglio che lavorare

Francesca Serafini, docente della prima edizione del corso Serial Writers, che si è chiuso lo scorso 7 ottobre, ci racconta la sua esperienza e quella dei corsisti. 



Con la consegna degli attestati, in presenza del direttore di La 5 Massimo Donelli, venerdì 7 ottobre si è chiusa la prima edizione di SERIAL WRITERS. Giusto una piccola coda autunnale al laboratorio estivo voluto dalla casa editrice minimum fax e dal magazine «Link», condotto con l’aiuto imprescindibile di Claudia Bellana e impreziosito dagli incontri con cinque ospiti di straordinaria generosità: Daniele Cesarano, Giovanna Koch, Luca Manzi, Michele Pellegrini; e il creatore della serie inglese cult Misfits, Howard Overman.
Per i quindici allievi selezionati si è trattato di un vero e proprio tour de force che li ha visti scrivere in cinque settimane il concept e il pilota (soggetto, scaletta e sceneggiatura) di tre serie low budget, originali nei contenuti e nel format: una per gruppo, nei tre da cinque in cui i ragazzi sono stati divisi.
Basta considerare la mole del materiale prodotto e l’esiguità del tempo a disposizione per avere un’idea dell’impegno, tanto più che stiamo parlando di persone in formazione, e per questo sottoposte a una teoria interminabile di revisioni: delle strutture narrative e del sistema dei personaggi prima, e poi delle scene e dei dialoghi.
I ragazzi non si sono mai tirati indietro, anzi: hanno messo a disposizione dei loro progetti tutte le energie possibili, vivendo quei giorni in simbiosi tra loro, senza soluzione di continuità tra la didattica diurna e le nottate e i finesettimana al computer, in una simulazione del tutto realistica dei ritmi a cui sono sottoposti generalmente gli scrittori di un prodotto seriale. E per molti di loro inevitabilmente la simbiosi è continuata, tant’è che tra i banchi dell’aula della Pirelli, quel venerdì, c’era più un’aria da primo giorno di scuola – con compagni che si ritrovano dopo la pausa estiva – che da ultimo. Anche se purtroppo di ultimo si è trattato, almeno per quello che riguarda l’esperienza del corso. Può essere infatti che i più meritevoli tra loro verranno inseriti in qualche produzione già attiva; può essere – come tutti ci auguriamo – che La 5 decida di esercitare l’opzione che ha sui loro progetti, producendone in futuro almeno uno; ma in tutti i casi si tratterà inevitabilmente di un’altra cosa. Del resto, se questa è la strada che alcuni di loro vogliono davvero intraprendere, è bene sapere subito che di ultimi giorni ce ne saranno parecchi, e ogni volta bisogna rimboccarsi le maniche per creare dal niente la possibilità di un nuovo inizio. E non c’è altro modo di conquistarsi il proprio boccone di mela che tenere acceso il fuoco, con nuove idee, nuovi progetti e però sempre la stessa voglia.
Ma i nostri SERIAL WRITERS questa cosa l’hanno capita molto bene, e infatti, dal giorno in cui il corso è finito, hanno cominciato a invadere le nostre caselle di posta con altre proposte, in alcune delle quali – tanto per lasciare traccia del clima piacevole che si era creato durante il corso – si sono presi gioco di noi. Fino al punto di farci venire la voglia di condividere alcuni dei loro scritti anche con chi quell’esperienza non l’ha vissuta. Come il dizionarietto di Carla, che ironizza su certe frasi fatte del lessico seriale nella quotidianità del nostro lavoro. O come il pezzo di Mattia, ritornato bambino sui banchi della nostra “scuola” per vincere un pregiudizio atavico che vede il cinema superiore in qualità a qualunque prodotto seriale. O come la parodia di Alvise, Andrea, Arianna, Carlotta e Manolo, che hanno sublimato la frustrazione di arrivare sempre a pranzo a Casaloca a patate al forno finite, perché li trattenevamo troppo a lungo in aula, in una strage immaginaria le cui vittime sono i personaggi della loro serie – e non solo – con l’aggiunta di un mandante del tutto speciale...
E insomma, alla fine, sono proprio i ragazzi che con il loro entusiasmo ci hanno dato una lezione. Perché, a parità di conoscenze e di esperienza, oltre evidentemente al talento personale, alla lunga è questa cosa qui che fa la differenza. Sempre. A qualunque livello di professionalità. La consapevolezza che – nonostante le nottate massacranti, i conflitti che ci possono essere all’interno del gruppo di lavoro o con i vari interlocutori della filiera produttiva – nessuno potrà mai entusiasmarsi alle nostre storie se non siamo i primi noi ad amarle, prendendocene cura fino allo stremo delle forze. Anche perché, dopotutto, come dice David Mamet, tutto questo è «sempre meglio che lavorare».

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