Sono nate, così, delle chiacchierate interessanti che vi proporremo qui a partire da questa prima a Paolo Cognetti. E, dato che ci piacciono i giochi, abbiamo pensato che dovrete essere voi a scoprire quale libro e quale autore abbiano scelto i nostri intervistati. Vi va di provare? Postate le vostre soluzioni qui nei commenti, oppure su twitter (#librinascosti) o su facebook.
Prendere i nostri tempi sulle spalle
Un'intervista di Andrea Molinari, Rocco Fischetti e Pietro De Vivo
a Paolo Cognetti
Foto di Laura Marchiori. |
Ciao Paolo. Per iniziare questa intervista potremmo partire dalla più classica delle domande: come mai hai scelto questo libro e non un altro? All'interno del catalogo minimum fax possiede un significato particolare per te? Quando lo hai letto, e cosa ti ha lasciato?
******** è la raccolta d'esordio di *********, forse il miglior scrittore di racconti della sua generazione (accanto ad altri tipi schivi come George Saunders e Peter Orner: per qualche motivo chi scrive racconti ama poco i riflettori, di solito preferisce andare a pescare).
Ha pubblicato solo due raccolte in una ventina d'anni e anche questo me lo fa apprezzare: ho grande rispetto per chi si rifiuta di stare dietro ai tempi del mercato, vuol dire che bada a scrivere cose belle. E le sue sono davvero belle. Racconti lunghi che mi ricordano un po' quelli di Andre Dubus e Tobias Wolff. Io l'ho conosciuto qualche anno fa, l'ho accompagnato in un giro per Milano. Mi ha lasciato il ricordo di un uomo speciale.
C'è un racconto, o un personaggio specifico, che ti è rimasto particolarmente impresso? Un episodio che secondo te si staglia più vividamente sugli altri?
Il ragazzino del primo racconto: un dodicenne che ha perso il padre in guerra, e per raccogliere qualche soldo accompagna a casa gli amici della madre quando si ubriacano alle feste. La coppia di ********: un marinaio in congedo che tira su una giovane benzinaia con l'idea di portarsela a letto, ma poi scopre di aver raccolto una malata terminale e invece di scaricarla la accompagna nel suo ultimo viaggio. Sono storie che parlano di incontri e di perdite. E poi di malattia mentale e ossessione religiosa. E poi di famiglie, soprattutto di padri e figli maschi.
Sia in Sofia che nella raccolta di racconti che hai scelto si avverte con forza un senso di spaesamento e di disagio di fronte alla tragedia, ma soprattutto alla normale vita di tutti i giorni. In un momento di crisi sociale – prima ancora che economica – come quello che stiamo vivendo, si può parlare dello stesso spaesamento e dello stesso disagio? Sono ancora assolutamente attuali? Bisogna forse ricalibrare il tiro?
Io non credo molto alla questione dell'attualità: i tempi che corrono fanno solo da scenografia alle buone storie, non intaccano la loro verità. Detto questo la crisi, lo spaesamento, la perdita delle radici sono da sempre i temi della letteratura americana, da Hemingway a Carver a David Foster Wallace hanno tutti scritto di gente smarrita, perché qualcosa nel loro mondo è cambiato o perso per sempre e non si può più vivere come prima, bisogna capire di nuovo come si fa, inventarselo da zero.
******** è uno che prende questi temi di petto. Scrittore di incontri e di perdite, di dubbi, angosce, rimorsi, di vagabondaggi che quasi mai arrivano da qualche parte, se non a un po' di condivisione, a volte minima a volte lacerante, con un'altra persona.
Qual è secondo te (se c’è) il limite di questa raccolta di racconti? E se c’è, tu in che modo avresti fatto diversamente?
Non saprei. Come per una ragazza che ami molto, va a finire che il suo naso un po' storto, le sue orecchie a sventola fanno parte delle cose che ti piacciono di lei.
Nella raccolta – come pure in Sofia – c'è più di un esempio di coppia allo sbando. Che diversità di sguardo riscontri tra la tua scrittura e quella del nostro autore nell'indagare i rapporti di coppia?
Spesso nelle mie coppie l'uomo è una persona semplice, o almeno si sforza di credere di esserlo, mentre la donna si interroga, nutre dubbi, scoperchia le bugie sue e dell'altro, mette in crisi il rapporto.
In ******** invece il punto di vista è quasi sempre maschile: è l'uomo al centro di questo discorso interiore, la donna è là fuori e di solito è un essere incomprensibile. Chissà a cosa pensa. Chissà cosa sta per fare. Se decide di andarsene, come in altro bel racconto, ********, succede in uno spazio bianco, quello che nei racconti è lo spazio del non detto, del silenzio su ciò che non si riesce a spiegare.
Nella raccolta i bambini sono spesso figli che devono fare i conti con la conflittualità di coppia di cui parlavamo prima, una dimensione che non hanno strumenti per decodificare. Sono passati più di vent’anni dall’uscita della raccolta: proviamo a fare un po’ di metaletteratura spicciola? Quei bambini ora sono cresciuti, avranno più o meno trent’anni. Come te li immagini? Hanno capito qualcosa? Hanno conosciuto una qualche redenzione? Hanno figli a loro volta? Come si comportano con loro?
Hanno poche certezze. Di certo meno dei loro genitori. A volte questa mancanza di certezze impedisce loro di fare dei figli, di metter su casa in un posto e immaginare di viverci per sempre, di insegnare qualcosa agli altri. È il grave difetto che vedo nella nostra generazione, ora che andiamo verso i quarant'anni: va bene lo smarrimento, ma prima o poi dovremo prenderci la responsabilità di farci padri e maestri, trasmettere quel poco che sappiamo, dar forma a un qualche tipo di eredità. Io sono un po' stufo dei lamenti, sarei per cominciare a prenderci i nostri tempi sulle spalle.
Facile...'Il suo vero nome', di Charles D'Ambrosio, il titolo del racconto è 'La punta'.
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