La settima edizione del Lavoro editoriale partirà a marzo 2015. Siamo alle prese con calendario, colloqui, conti: tutte cose importanti ma, poiché siamo nostalgici, abbiamo chiesto alla nostra ex allieva Claudia Papaleo di raccontarci la sua versione del corso appena concluso.
Ed è una versione ad alto tasso di entusiasmo e commozione.Buona lettura!
Editoriali (o quasi) mode on
di Claudia Papaleo
Qualche sera fa ho ricevuto una patata bollente, sotto forma di mail, in cui mi si chiedeva di scrivere qualcosa sul Lavoro Editoriale 2014. Ho detto di sì, e ora sono seduta davanti allo schermo con le dita sulla tastiera, un pacchetto di Camel da venti (che era da venti) e un misuratore di pressione.
Bene, tolto di mezzo l’incipit, posso dire che i cinque mesi del corso sono iniziati con una frase di Marco Cassini che, a rileggere la cronologia di WhatsApp (nel gruppo: Editoria de profundis), faceva più o meno così:
«Il seme del male che vorrei
germogliasse dentro di voi è quello di sapere sempre tutto, chi ha pubblicato
cosa, in quale collana, perché e quando»
Da
quel primo giorno io – e altri undici, simpatici casi umani armati di tanta
passione, tremarella, sano disagio e voglia di fare bilanciata all’incapacità
di non sparare stronzate invereconde – abbiamo passato i nostri pomeriggi in
quel di via della Polveriera. Il piano era di farci incontrare editor,
direttori editoriali, scrittori, uffici stampa, redattori, traduttori,
redattori web, agenti, organizzatori di festival, commerciali, librai, e
chiunque avesse intenzione di innaffiare quel seme con gli idranti. Così, di
volta in volta, abbiamo barcollato, e barcollato parecchio, disorientati dalla
quantità di libri, case editrici, riviste, nomi e anfratti dell’editoria che
erano sfuggiti alla nostra fame di lettori compulsivi (ma con una vita
sociale). A tutta prima, al suono di parole come distribuzione, sell
in, sell out, e costi vivi, abbiamo avvertito il bisogno di
sentire la voce di nostra madre e in più di un caso, quando ci veniva chiesto
di impaginare con InDesign, abbiamo pensato di pagare qualcuno (decidete
voi se un nerd o uno psicologo). Ci hanno gentilmente informato del fatto che
per sapere chi ha pubblicato cosa, le copertine non bastano, perché
dietro un solo titolo c’è tutta la gente che ho nominato poco fa, che è tanta e
di rado sotto la luce dei riflettori. E qui, quoto Valentina Aversano, che
ironizzando un po’, ma neanche troppo, ci disse:
«Se volete lavorare
nell’editoria, rimanete lettori dentro e stalker fanatici fuori»
Per
essere sicura che dopo quelle parole non avremmo opportunamente svagato,
Rachele Palmieri (tutor dei corsi minimum fax, madre, compagna di bevute,
fervida sostenitrice della giustezza di Virginia Woolf, Lady di Ferro del
biliardino e della guerra al refuso) ha pensato bene di farci fare un E-book.
Nello specifico, un E-book che raccogliesse le interviste agli addetti ai lavori
di otto case editrici, chiamati a raccontarci una collana che ritenevamo essere
emblematica della loro identità. Così è iniziato il pedinamento tutto casalingo
davanti ai computer, per capire come diamine si chiamassero queste persone,
quale fosse la loro linea editoriale e come avremmo potuto contattarle senza
finire nella cartella spam, tra offerte di vibratori Hi-tech e viaggi in
Papuasia. Ci siamo strutturati come redazione (affidandoci, ma solo a volte, al
gioco della sedia), abbiamo studiato, buttato giù domande, editato, sbobinato,
pensato alla copertina, al titolo, alla comunicazione e, essendo gente seria,
abbiamo fatto tutto in ritardo. Naturalmente, ci siamo rimpallati mail
mostrando civile senso di colpa, e grande arguzia nel lasciare da parte gatti e
morte al momento di imbastire scuse. Fatto sta che la cosa ha preso forma, si
chiama Dietro le quarte e, se tutto fila liscio, a breve la presenteremo
e diffonderemo gratuitamente col marchio minimum fax. Non annuncio date, badate
bene, solo perché le regole della suspense lo vietano, e perché gli
spoiler possono determinare la fine dei rapporti sociali molto più che una
partita a Risiko finita male.
Ma
torniamo a noi, perché alla fine il punto di quello che sto dicendo è che
questi mesi sono stati viscerali, penetranti, deliranti come un pezzo
psichedelico che gira per trenta minuti prendendo a calci tutto il resto. Il
punto è che ci hanno insegnato non solo chi c’è dietro a un libro, ma come lo
si pensa, lo si tocca e lo si deve guardare con l’occhio affamato del voyeur,
di chi si cala senza imbracature nel dettaglio e sa che quello che sa non è mai
abbastanza, perché l’editoria è un mutante: ti rendi conto di che pasta è fatta
oggi e domani si ripresenta con idiosincrasie, deformità,
meraviglie e complessità incalcolabili. Soprattutto, ci hanno fatto capire che
questa è una sfida eccitante, adrenalinica, per cui servono l’umiltà e la cieca
spavalderia di chi si vede una porta chiusa in faccia e suona a un altro
citofono attaccandoci, se necessario, un chewingum.
A
questo proposito, forse, dovrei scrivere dove mi ha portato tutto questo,
(tralasciando la bottiglia di vino). Ebbene, mi occupo, non so bene per quanto,
di ufficio stampa e redazione per una casa editrice di graphic novel e
narrativa che si chiama Tunué, e nel frattempo valuto dattiloscritti un po’ per
questo un po’ per quello. Insomma, se dovessi presentarmi in due parole e
riassumere quello che faccio, penso che, citando Colazione da Tiffany,
direi: Salve, sono Claudia Papaleo e sono in transito.
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